"Non siamo davvero solisti nemmeno nella nostra vita, ma la scena di un dialogo a più voci, tutte, purtroppo, forse, dello stesso valore".
( Göran Tunström )


lunedì 31 maggio 2010

Occhi neri

Ci sono notizie che mi smuovono sempre un po' dentro e che spostano poco per volta il livello massimo di sopportazione verso comportamenti discriminatori e incivili di certe persone.
Ho vissuto sulla mia pelle la stupidità e la cattiveria di un sentimento d'odio e di disprezzo che prende corpo e che si palesa quasi sempre, in modo codardo, in un gruppo di individui riuniti in branco che prende di mira solitamente una persona sola, accerchiandola, denigrandola e, spesso, sottoponendola a violenza fisica.
Scopri che a fare male dentro più che i calci, i pugni, gli sputi e il malessere del corpo a causa delle violenze, è constatare che ci sono persone che non provano nessun sentimento di empatia per il dolore degli altri, che, tutto sommato anche tu, vittima, per loro non esisti come persona, sei solo un simbolo delle loro paure e dei loro dubbi, dei loro limiti intellettivi e colpirti è solo un tentativo di far sparire le loro fobie, ma tu, vittima, rischi di morire per questo.
Io mi sono salvato solo perché ho sempre colpito più forte i miei aggressori, ma è difficile quando sei solo e accerchiato e nessuno di aiuta.
Possono passare anni durante i quali si ha quasi la sensazione che, in qualche modo, la vita può procedere e ci si illude che qualcosa di buono, prima o poi si potrà ottenere.
Ma bastano notizie così per ricordarsi ogni volta che l'equilibrio che molto duramente ci siamo costruiti è molto labile e basta niente per farlo crollare, per trasformare chiunque di noi in vittime.
Trovo ancora più odioso quindi che chi si occupa di politica o riveste ruoli di importanza nelle associazioni giochi  sulla pelle delle vittime solo per un tornaconto personale.
Riporto qui di seguito un post scritto da Paolo di Uguali Amori  nel quale descrive il resoconto della fiaccolata contro l'omo-transfobia svoltasi a Roma come risposta contro l'aggressione al ragazzo gay di qualche giorno fa.
E' un racconto pieno di emotività, insolito da parte di un blogger sempre molto razionale, ma proprio per questo interessante, perché dimostra che dietro quell'emotività c'è una carica vitale che non ne può più delle ingiustizie, delle ipocrisie dei finti amici, di attendere gli indecisi, di porgere l'altra guancia, di lasciare che siano sempre gli altri a farsi avanti per primi. Ha tutta la mia stima per questo.

E’ importante che io racconti cosa è accaduto nella manifestazione di protesta contro l’ultima aggressione omofoba a Roma; ed è importante che io lo faccia adesso, anche se sono scosso da quanto è successo, da una serie di eventi che mi hanno visto protagonista. Prego di poter raccontare con obiettività quanto è accaduto. Perchè e per chi lo faccio, sarà chiaro in seguito.
Non eravamo più di 100 persone, e forse di meno. Il corteo, che secondo gli organizzatori si sarebbe dovuto svolgere camminando sui marciapiedi, in modo da non dare fastidio, è partito dal Coming Out, quindi ha fatto via del Fagutale (quella della casa di Scajola) e si è fermato alla fine della stessa, prima della piazzetta che dà su via San Francesco di Paola, nel punto dove è avvenuta l’aggressione.
Lì gli organizzatori hanno fatto presente che non era possibile proseguire fino al bar che si era rifiutato di prestare soccorso, perchè loro non volevano essere considerati responsabili di nessun gesto di violenza. Alla fine si è deciso salomonicamente di sciogliere la manifestazione lì e di raggiungere comunque questo bar, dove chi voleva sarebbe andato lì a dare un fazzolettino, ringraziando sarcasticamente per la solidarietà. Molti dei presenti si sono procurati un fazzolettino.
Siamo arrivati al bar, che bar non era, bensì la gelateria di Via Cavour che sta tra appunto via San Francesco di Paola (dove c’è il ristorante indiano che fa angolo) e la fermata della metro.
Lì, sono stati dati i fazzolettini, e c’è stato un coro di scherno, al grido di vergogna vergogna.
A quel punto è piombato il presidente dell’Arcigay di Roma, Fabrizio Marrazzo, che si è messo ad urlare “Ma che fate, ma che ne sapete? Non è questo il bar! Adesso chiedete scusa! Dovete chiedere scusa”
La cosa ci ha raggelato. A quel punto è cominciata una discussione, a cui Marrazzo non partecipava, in cui c’era chi sosteneva che fosse quello il bar, e chi diceva di no. Allora io, parlando a voce un po’ alta, ho fatto presente che il bar era un altro, perchè effettivamente poco più su, proprio in corrispondenza della fermata della metro, c’è un bar bar, e non una gelateria, quindi era probabilmente quello il bar incriminato.
Mi si è così avvicinato un ragazzo, di poco più di venti anni, che mi ha detto che invece era quello il posto. Gli ho chiesto cosa ne sapesse, e mi ha detto: “Perchè io ci ho accompagnato qui Simone”.
In effetti, avrei potuto anche non chiedergli perchè lo sapesse. Mi sarebbe bastato vedere i suoi occhi. Gli occhi di un ragazzo di poco più di venti anni, neri neri e tristi, che soccorre un suo amico pestato a sangue, che lo porta in una gelateria in cui non gli prestano soccorso, e che ora, nella manifestazione di solidarietà, vede il presidente dell’Arcigay, quindi anche il suo presidente, dire che non è quello il posto.
Così, io mi sposto verso lo spiazzo immediatamente antistante il locale, e dico al gruppetto che discute che il locale è proprio quello; quando mi chiedono cosa ne sappia, gli indico l’amico di Simone, identificandolo appunto come tale.
Per me sarebbe finita lì, e me ne vado raggiungendo il bordo dell’assembramento, giusto dicendo che a certa gente piace proprio prenderlo in culo a prescindere, quando sulla mia strada incrocio Fabrizio Marrazzo.
A quel punto gli dico (dico? diciamo parlo a voce alta): “Bravo, complimenti! Fai proprio bene il presidente dell’Arcigay! Complimenti! Continua così! Ma non ti vergogni?”
Lui nemmeno credo capisca di cosa parlo, e allora ancora più incazzato “Il bar è questo!”
Lui mi chiede cosa ne sappia io, e io sbraitando “Me l’ha detto l’amico di Simone! Quello che l’ha accompagnato qui mentre sanguinava!” Diciamo che da questo momento il mio tono di voce si sentiva abbastanza in giro per tutta via Cavour.
Marrazzo mi fa: “Ma ci saranno gli interrogatori per stabilire come sono andate le cose!”
A questo punto io urlo: “Gli interrogatori? Interrogatori? Cazzo c’entrano? Questa è una manifestazione politica! Cosa ti serve sapere di più, che quello che ti dice l’amico della vittima? Vergognati!”
Marrazzo si fa piccolo piccolo, e non sa cosa dire, allora si avvicina un suo amico, che con un tono smorfioso (certa gente ha un senso del ridicolo tutto suo) mi dice: “Non ti permettere sai? Come ti permetti?”
E io “Come mi permetto? Come mi permetto? E che pensi che sono venuto qua a fare la bella statuina? Mavatteneaffanculo a te e all’amico tuo! Brutti stronzi!”
Siccome ero molto alterato, ho poi interrotto la discussione. Ho salutato i presenti, e quando me ne sono andato ho incrociato nuovamente l’amico di Simone.
Gli ho detto grazie per quello che ha fatto, e gli ho augurato una pronta guarigione per Simone.
Io, per me, non cerco proprio niente. Non avrei fatto tutta questa  discussione feroce se non ci fosse stata una ulteriore e palese ingiustizia che si stava compiendo sotto i miei occhi, un atto di prepotenza da parte di uno, Fabrizio Marrazzo, che per il ruolo che ha dovrebbe innanzitutto difendere i gay, piuttosto che chiederci di scusarci.
Invece Marrazzo ha voluto spacciarsi per uno che sa tenere la folla, ha cercato di accreditarsi come uno tramite cui bisogna passare se si vuole evitare il peggio, per cui intanto ci ha chiesto di chiedere scusa per una contestazione, peraltro civilissima e di breve durata, che invece era nel giusto.
Marrazzo non si è preoccupato di scoprire come fossero andate le cose. Si è messo invece a farfugliare di interrogatori, come un questurino di cui il mondo gay non ha decisamente bisogno. Io posso pensare al senso di smarrimento e di scoramento che l’amico di Simone ha provato quando ha visto questo spettacolo sotto i suoi occhi. Ma come, questi dovrebbero essere qui per Simone, e invece fanno questa politica di bassissima lega sulle carni del mio amico?
Ecco, questo mi ha fatto imbestialire oltre ogni limite. Non so nemmeno come ti chiami, amico di Simone, ma quello che ho visto nei tuoi occhi mi ha portato a mettermi in mezzo. E se ripenso ai tuoi occhi, e se immagino quello che hanno visto pochi giorni fa proprio davanti a quella gelateria, non mi vergogno di dire che sono tornato a casa tremante. Perchè ringraziando il cielo provo ancora delle emozioni e non vivo e non voglio vivere alle spalle e sul dolore di nessuno.
Credo che voi che mi leggete, sappiate quanto io poco ami le luci della ribalta. Però credo che esista un momento in cui il dovere civile fa premio su tutto. Per cui vi prego, di dare la massima diffusione che potete a questo resoconto, che se pecca di qualcosa è solo per le emozioni che mi attraversano, non per calcoli politici.
Non cerco niente, manco delle hit per il blog, per cui riportatelo come volete, purchè sia in forma integrale: metteci un link, copiate il testo, mettetelo su Facebook (io non ho Facebook!), su Twitter o per mail, leggetelo al telefono ai vostri amici e chiedete a loro di fare lo stesso. Non per me, ma per quegli occhi.





2 commenti:

  1. Che essere meschino (Marrazzo... sarà mica il cognome?!).
    Poveri occhi neri...

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  2. Buon giorno....leggo, rifletto e, come mi succede in questi casi, scuoto la testa sentendomi indignata ed impotente!
    Ciao!

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